LE ERRANTI OSSA DI DANTE ALIGHIERI
Sulla tomba di Dante è scritto:
«I diritti della monarchia, i cieli e le acque del Flegetonte
visitando cantai, finché volle il mio destino mortale.
Ma giacché la mia anima andò ospite in luoghi migliori
e più beata raggiunse fra gli astri il suo Creatore,
qui son racchiuso io, Dante, esule dalla patria terra,
cui generò Firenze, patria di poco amore»
Bernardo Canaccio– Epitaffio sulla Tomba di Dante- 1366
In vita Dante ebbe un’esistenza decisamente movimentata, ma non meno travagliata fu la storia delle sue spoglie.
Morto in esilio a Ravenna, dove era ospite di Guido Novello da Polenta, fu inizialmente seppellito nella cappella di questa famiglia nella Chiesa di San Francesco, in attesa che venisse eretto un monumento funebre degno della sua grandezza. Eppure in molti già iniziavano a reclamare le ossa del Sommo Poeta: primo fra tutti il cardinale legato Bertrando del Poggetto che le voleva per arderle in un unico rogo insieme all’eretica opera dell’Alighieri, il De Monarchia.
Fu poi la volta di Firenze, che pentita di aver cacciato e perso un figlio tanto caro, ora ne rivoleva i resti per onorarne la memoria. Ma i ravennati rispondevano sempre picche e non lasciavano andare Dante, finchè al soglio pontificio non salì un Medici: Leone X.
Firenze colse subito l’occasione propizia per rinnovare la richiesta e stilò persino un memoriale in cui si garantiva che al Poeta sarebbe stato dedicato, nella Chiesa di Santa Croce, un monumento progettato da Michelangelo. Dato che Ravenna era allora sotto il dominio pontificio, Leone X autorizzò immediatamente il recupero delle spoglie inviando una delegazione. Giunti in città, i delegati aprirono il sepolcro e lo trovarono vuoto. Nessuno era in grado di spiegare dove si trovassero i resti del poeta. Per questioni di opportunità politica si decise di insabbiare questa umiliante faccenda. Il mistero di che fine avessero fatto le spoglie di Dante venne svelato soltanto più di tre secoli dopo. Nel 1865 durante i lavori di ristrutturazione del convento francescano un muratore, abbattendo un tratto di muro vicino alla cappella di Braccioforte, trovò un cofanetto di legno con inciso sul coperchio la dicitura “Ossa Dantis”.
Si decise allora di riaprire il sepolcro che nel ‘500 la delegazione aveva trovato vuoto e nel quale erano rimaste solo tre falangi e alcune foglie di alloro. In quest’occasione si notò un buco sul lato del sarcofago aderente al muro. Infatti all’epoca i frati ravennati, disobbedendo al comando di Leone X, avevano praticato questo foro, che dal muro del chiostro adiacente arrivava nella tomba, sufficientemente grande da poter prelevare le ossa di Dante. I monaci le avevano quindi nascoste nel convento mantenendone il segreto tanto che da quel momento in poi se ne era persa traccia e memoria. Da lì vennero spostate solo nel 1810 quando il convento venne soppresso per via delle espropriazioni napoleoniche. Fu proprio in quell’occasione che, per proteggerle, i frati le riposero nel cofanetto di legno murandole laddove furono rinvenute dal muratore. Fatta luce sulla vicenda, le spoglie di Dante trovarono posto nel mausoleo dedicato al Poeta che nel frattempo, nel Settecento, era stato commissionato al Morigia. Questo è oggi la Tomba di Dante che tutti conosciamo, ironicamente chiamata dai ravennati “la zuccheriera” per via delle sue modeste dimensioni se paragonate all’eterna fama del Sommo Poeta.
Ma la storia non è ancor finita! Durante la Seconda Guerra Mondiale, per proteggere questo tesoro dai bombardamenti e dalle razzie naziste, di nuovo le povere ossa di Dante vennero spostate e interrate, per quasi un anno, sotto un cumulo di terra ancora oggi visibile nel quadrarco di Braccioforte.
Dal 19 dicembre del 1945 finalmente il grande Poeta riposa in pace nella sua tomba.